mercoledì 30 dicembre 2015

Il capodanno di Viola: Valli di Lanzo, skype e... gamberoni!





Il capodanno di Viola: Valli di Lanzo, skype e... gamberoni!


«Esattamente come devo pulirlo questo?» con occhi interrogativi sollevo la coda di un grosso gamberone.
«Forse è meglio cominciare con qualcosa di più semplice. Che ne dici di queste?» zia Dalia mi passa una retina di cozze e vongole veraci. «Basta che le gratti ben bene.»
Siamo alle prese con i preparativi della cena di fine anno in cui ha deciso di coinvolgermi, nonostante io sia una schiappa ai fornelli.
Ma come sempre aveva ragione perché mi sto divertendo un mondo.
È il primo capodanno tutto per noi, lontane dalla floreale baraonda, e per l’occasione ha deciso di preparare un cenone memorabile.
Stamattina all’alba mi ha trascinata al mercato e poi ci siamo rifugiate dentro una minuscola caffetteria a parlare per ore, davanti a una tazza bollente di cioccolata, mentre fuori la neve cadeva soffice e silenziosa.
Era da tempo che non mi sentivo così in pace con me stessa. E ora sto anche apprendendo sul campo i primi rudimenti della cucina.
Quasi non ci credo. Dentro di me inizia a scorrere silenziosa una nuova linfa vitale.
Certo, anche Alex ha il suo merito.
Quando non è impegnato con le sue strabilianti torte, mi sta accanto, attento e premuroso, ogni secondo.
Adesso è tutto preso dalla realizzazione delle preziose miniature per Matilde. Ha detto che visto che è mia cugina non poteva assolutamente dirle di no e così si è rintanato in laboratorio da ieri sera.
Lentamente tutto inizia a sistemarsi.
O quasi…
«Ma cosa ti ha fatto di male quel mollusco?» zia Dalia interrompe il flusso dei miei pensieri e osserva divertita il mio lustrare energico sul guscio di una cozza. «Dobbiamo mangiarlo non esporlo in vetrina…»
«È che pensavo alla mamma. Dalla sera della festa non ci siamo più sentite.»
«Se può consolarti, sappi che anche con me non è di molte parole ultimamente. Ma, sai, lei è una che ha bisogno di riflettere a lungo sulle cose.»
«Lo so, però non ci siamo fatte nemmeno gli auguri di Natale e temo che per capodanno finirà nello stesso modo.»
Zia Dalia sistema i molluschi scintillanti in una grossa padella e alza gli occhi con aria furbetta. «Non è mica detto. Aspetta un attimo, forse mi è venuta un’idea…»
Poco dopo torna con un pc e inizia ad armeggiare con cavetti e webcam.
«Dai, vieni qui che ora proviamo a chiamarla con Skype.»
Come per magia sullo schermo si materializza il soggiorno di Villa Fiorita insieme ai volti curiosi di zia Iris e Gelsomina.
E le loro chiacchiere vivaci si catapultano subito dentro il nostro pacifico silenzio.
«E quindi non venite giù neanche per capodanno?» zia Iris controlla la tenuta dello smalto in gel. «Mati ed Edo sono già a Saint Moritz, e noi qui che facciamo da sole?»
«Sempre a lagnarti tu!» borbotta zia Gelsomina. «Ci facciamo la zuppa di lenticchie, il capitone e dopo giochiamo a carte.»
«Le carte mi annoiano… E poi io l’avevo detto di andare a fare il veglione al PalaIsozaki!»
«Poi arriva anche mio padre «Ciao Viola! Hai tagliato i capelli! Mi ricordi tanto quando eri bambina…»
Oh, è vero, hai tolto le extension!» zia Iris si tuffa nel monitor. «Hai fatto bene, ormai sono poco di moda. Si usa tanto lo shatush!»
E così passiamo quindici minuti a disquisire dei nuovi trend del capello, senza nemmeno scorgere l’ombra di mia madre.
La prima a congedarsi è zia Gelsomina. «Io ora devo andare a mettere a bagno le lenticchie però, sennò sono dure. Mi aiuti Iris?»
«Ah no! Tra dieci minuti devo fare il massaggio ayurvedico, anzi Viola ti saluto che vado a prepararmi!»
«Ti pareva che non toccava fare tutto a me!»
«Ti aiuto io Gelsomina…» una nuova voce fuori campo si materializza mentre il mio cuore accelera i battiti.
E finalmente intravedo il profilo elegante di mia madre.
«Mamma…»
Lei si volta e mi guarda nello schermo.
(…)
Viola, vertigini e vaniglia – Monica Coppola – Booksalad editore
http://www.amazon.it/Viola-vertigini-vaniglia-Monica-Coppola/dp/889806733X

martedì 8 dicembre 2015

Tieni il Tempo.



TIENI IL TEMPO.

Vado veloce, corro come un Frecciarossa.

Ma il tempo è poco, sempre troppo poco.

E soprattutto passa troppo in fretta.

Specie se hai già 40 anni suonati e senti che, in un modo o nell’altro, metà della tua vita te la sei già sgranocchiata come un pacchetto di fonzies: se ti è andata bene ti sei leccato le dita, altrimenti hai goduto solo a metà. È la fretta di agguantare il tempo per dirgli ancora qualcosa di noi prima che scappi, per urlargli in fretta dal finestrino che "Ehi, guarda che non puoi svignartela così perché io voglio ancora fare questo, e anche quest’altro!”

Ma quello se ne frega, passa e fugge lo stesso.

Tu sei lì, davanti allo specchio che tormenti un comedone e cerchi di capire la destinazione d’uso del Tampax; l’attimo dopo sei ancora davanti allo specchio, solo che ora del Tampax non sai più che fartene , hai le zampe di gallina, le rughe di espressione e rimpiangi la spensieratezza dei tuoi pori otturati.

La scorsa settimana Madonna è tornata ad esibirsi a Torino.

Su Facebook sono comparsi i primi post del suo Rebel Heart Tour e io mi sono accorta che, in una passata di mascara waterproof, era trascorso qualcosa tipo un quarto di secolo, da quando, con tanto di fascia di pizzo sintetico stretta sui capelli ossigenati a colpi di Crystal Soleil e guarnizioni gommate fino all’avambraccio, mi dimenavo sulle note di Material Girl in compagnia di adolescenti arruffate e sognatrici come me.

Erano i tempi del suo “Ciao Torino? Siete caldi?”: noi la guardavamo esterrefatte, la stessa anima candida delle pastorelle di Lourdes, con gli occhi imbrattati di matita dozzinale fissi su uno schermo paffuto come le nostre guance, e i piedi a terra, ma non troppo, come è giusto che sia a quindici anni.

E poi i quindici sono diventati diciotto, attesi ardentemente per poter morsicare anche la libertà di andare ad un concerto dal “vivo". Che a casa mia prima dei diciotto eri agli arresti domiciliari e tutt’al più potevi andare a brindare a capodanno con la Ben Cola nei muffosi sotterranei dell’oratorio.

Però prima ti dovevi confessare eh, se no manco ti facevano entrare.

Il mio cuore neo maggiorenne iniziò a palpitare sulle note di Venditti, forse anche perché la “Notte prima degli esami” si avvicinava. La mia fervida fantasia mi portò a commettere il primo passo falso con la specie maschile: poi ne sarebbero seguiti molti altri...

Con occhi adoranti chiesi al mio fidanzatino di allora di partecipare al mio “battesimo musicale”.

Già mi vedevo due cuori (anche di panna perché era estate e il cornetto Algida era il simbolo nocciolato con cui scambiarsi amore eterno) un battito, tante canzoni.

Sfortunatamente lo sventurato rispose qualcosa del tipo: "Piuttosto traduco Catullo tutta notte ma Venditti manco morto." Reso esplicito in termini assai meno eruditi perché eravamo adolescenti di periferia e da noi il classico non lo faceva nessuno.  Andava per la maggiore un Istituto Superiore che sembrava un videogame, volgarmente conosciuto con l’acronimo di P.A.C.L.E.

Che stava per Perito Aziendale e Corrispondente in Lingue Estere.

In pratica uscita di lì, se eri molto brava, potevi fare l’impiegata poliglotta. Se ti andava male potevi giocartela come cassiera, che tanto il Mostro della GDA avanzava portentoso ed era pronto ad accogliere tutti sotto i suoi tentacoli. 

Se invece eri un maschio allora ti aspettava la FIAT.

Anche io sono stata figlia della FIAT e sono cresciuta pensando che questo enorme stabilimento che dominava corso Agnelli fosse un Mondo Parallelo che si risucchiava tutti i papà del mondo a fasi alterne: dalle 6 alle 14 o dalle 14 alle 22. Quelli più cattivi li intrappolava dalla 22 alle 6 così non potevano nemmeno dare la buonanotte ai loro bambini.

Però la FIAT mi voleva bene, perché a Natale potevo andare in giostra gratis e mi faceva anche un regalo, scelto in base all’anno di nascita.

Ecco, io mi beccavo sempre delle gran cagate, tipo il piccolo chimico, che veniva immediatamente riciclato sotto l’albero dei miei cugini maggiori perché tanto io avrei fatto esplodere tutto.

Me ne tornavo a casa arrabbiata e delusa desiderando i regali di chi era nato nell’anno “giusto”.

Mi sono passate sotto il naso non so quante Barbie e walkman che non ho afferrato per un soffio:  perché il tempo è così, si fa beffe di te anche solo per un anno in più o in meno.

Quando sei piccola pensi sempre che il tempo passi troppo lentamente.

Sei invaso da un’effervescenza, una smania di “fare cose” e invece i grandi ti dicono "di aspettare”.

Subito dopo l’Immacolata, ad esempio, a casa mia iniziava un viavai frenetico di Panettoni & Pandori e però niente, non ne potevi assaggiare nemmeno uno. Perché “Si doveva aspettare”.

Anche per mettere Gesù Bambino nella mangiatoia dovevi aspettare rigorosamente la mezzanotte del 24 dicembre.

L’effetto devastante di questi due divieti era che, passate le Feste ti ritrovavi a inzuppare nel latte panettoni fino alla Pasqua successiva dove, i parenti più arditi, tentavano di tagliare le fette di traverso spacciandole per Colomba.

Perché non si buttava niente.

Il bambinello invece finiva che, non potendolo sistemare nella sua bella mangiatoia, lo infilavamo distrattamente da qualche parte. Poi, puntualmente non ci ricordavamo dove.

E scattava il dramma. Partivano un putiferio di invettive, di accuse reciproche,  guarnite con tanto di recriminazioni d’annata, così potevamo anche mettere il flag all’atto quinto del Santo Natale ovvero “Scannamento sotto l’albero di luci intermittenti”.

Poi, siccome a Natale siamo tutti più buoni, prima dell’Epifania mio padre scendeva in cartoleria e comprava un nuovo bambinello.  Tanto dopo il 25 te li tiravano dietro sottocosto. 

Oggi guardo il Natale che arriva attraverso gli occhi delle mie “ragazze”.

Attacchiamo la pompa idrovora del pozzetto con l’acqua corrente,  le casette con la fiamma che sembra viva e mi torna in mente la bellezza di un laghetto costruito con un foglio di carta stagnola rubata di nascosto dalla credenza.

Mi ricordo la bellezza dell’albero spelacchiato e sintetico, sempre troppo basso, anche se io non sono mai stata un gigante.

La tenerezza delle pecorelle azzoppate e dei maiali: chissà perché, quando andavi a cercare le statuine nuove, angioletti non ne trovavi manco mezzo ma scrofe sempre in abbondanza.

Mi incantavo anche davanti al ventre dilatato del suonatore di zampogna che trovavo delizioso, anche se sembrava si fosse tracannato due pinte di Bionda prima di partire per Betlemme. 

E poi c’erano i cancelletti e i ponticelli in ferro battuto che costruiva il mio papà.

Io andavo a scuola nelle casette prefabbricate perché c’erano troppi bambini e l’edificio era troppo piccolo. Così a volte facevamo i turni ed uscivo alle diciotto, come i papà dei bambini “che stavano bene”  (i fortunati pargoli dei  white-collar worker, avrei scoperto in seguito). 

Che non portavano la tuta blu ma camicie dai colletti bianchi, inamidati.

Mio papà no, lui era una tuta blu: ma la indossava con un’eleganza e una dignità che è sempre stata parte della sua vita.

La sua creatività però era intrisa di tutti i colori e le cromie dell’Universo.

E sono quelli i colori che mi ha trasmesso. 

A me che inizio a scartare i panettoni appena cade la prima foglia d’autunno.

A me che il bambinello lo metto subito così ci fa compagnia e non me lo perdo chissà dove.

A me che in parte anche se sono “grande” voglio continuare, disperatamente, tenacemente, orgogliosamente, a credere nei sogni.

Perché so che lui avrebbe voluto così.


(copyright Monica Coppola, immagine Maria Teresa Di Mise, editing Stefania Crepaldi)

lunedì 7 dicembre 2015

Un Natale in "Viola": download gratuito fino a mercoledì!



A Natale siamo tutti più buoni.
Così Viola e Booksalad vi fanno un regalo di Natale in anticipo: da oggi e fino a mercoledì potete scaricare gratuitamente il romanzo su amazon . Con un semplice clic qui.
Tuffatevi nel caotico mondo di Viola e se vi va, divertitevi e staccate la spina.
Non quella dell'albero eh.
Quello lasciatelo brillare. Come i vostri sogni.
Ci vediamo domani con un post nuovo.
A cui io tengo molto.
Perchè il Natale a volte, scintilla anche un po' di malinconia.
Ma è bello lo stesso...








sabato 28 novembre 2015

A qualcuno piace dolce: pane, libri, marmellate e...Viole.



Eccoci qui.
Dato che io e Viola siamo delle golosone e amiamo la nostra #Torino spesso ce ne andiamo alla scoperta dei deliziosi locali che palpitano nel quartier San Salvario.
Tra questi ce n'è uno davvero particolare, che ispira simpatia già dal nome: Luna's Torta.
E chi non ce l'ha la Luna Storta? Sopratutto il lunedì mattina prima del cappuccino (e croissant ovvio..).
Apri la porta e ti rendi conto che l'originalità del nome è solo la prima di tante sorprese: sei avvolto dai profumi che arrivano dalla cucina e solleticano l'olfatto, dal calore delle persone, dai colori e, ciliegina sulla torta, dall'abbraccio dei libri.
Che si possono leggere, sfogliare acquistare. Insieme ad altri oggetti deliziosi e originali: orecchini di carta e magneti di cui ci si innamora al primo sguardo.
Come della simpatia frizzante delle due proprietarie Uzzi -uzzi San e Ilaria che ogni giorno se ne inventano una: reading, cabaret, programmi radio. E poi  ci sono gli imperdibili Brunch-antibroncio domenicali.
Per quelli che si svegliano, con la luna storta appunto, pure nei giorni festivi.
Ed è in qui che entriamo in scena io e Viola.  Perchè domattina si sentirà il profumo di vaniglia, muffin e cupcake. E anche quello delle pagine del romanzo.
Ci divertiremo a mangiare dolcetti (come Viola e Tancredi) ma anche a parlare di emozioni "in Viola" grazie a Sara Bauducco che, insieme a Perfect Book , ha realizzato una lettura emozionale in grado di colgliere, perfettamente appunto, tutti gli strati del romanzo.
E poi, visto che va un sacco di moda adesso dirlo in tv a proposito di libri e film,  ve lo dico anche io: si ride tantissimo.
Grazie a Palma Della Rocca e Piermario Prandi che sono entrati nei panni dei personaggi e riescono a renderli, così reali e divertenti con la loro interpretazione che davvero  i sembra di vedere la maglietta fosforescente con le mele di Coktail Man e, le imperdibili bubble gum di Lisa, l'avvenente cameriera dagli short inguinali. Ma ci sono anche le zie floreali e Matilde naturalmente.
E allora, che dire?
Chi non viene ha #saturnocontro...e si perde anche un sacco di cose buone ;)
Parola di Emma. ;)


giovedì 5 novembre 2015

Il primo YouTube non si scorda mai! (soprattutto se è Halloween…)






So per certo di essere una grafomane incallita (esiste qualcosa di più soddisfacente di un monologo in Calibri 12, che scorre ininterrotto tra le infinite pagine di Word?).
Ma quando le rassicuranti parole stampate devono diventare sonore e squillanti davanti ad interlocutori sconosciuti, sono assalita dal consueto panico dell’esordiente.
Con la promozione di Viola, capitombolo spesso in situazioni nuove e ogni volta sono torcibudella e notti insonni a crogiolarsi e a chiedersi “Perché?” come canterebbe a squarciagola il buon Tiziano.
Perché parlare in pubblico fa davvero paura, credetemi.
Tuttavia, ogni volta che puntualmente vengo assalita dalla sensazione di aver detto una plateale castronata, mi cospargo il capo di cenere confidando nella memoria a breve termine e sperando nell’assoluzione del verba volant, scripta manent.
Fino a quando non è arrivata la proposta di Marta e Samuele: realizzare una video intervista per il loro Blog Primediecipagine.
E lì ho pensato: “Accidenti, questo è un caso di verba manent! E adesso come faccio?”
Mi sono subito venute un sacco di idee, ovviamente tutte assolutamente geniali.
La prima è stata quella di girare il video in un negozio di fiori per ricreare alcune scene del romanzo.
Il mio dialogo con il fioraio prescelto è andato più o meno così:
«Possiamo venire da lei a girare una video intervista?»
«Certo, quando sarebbe?»
«Sabato 31 ottobre . Va bene intorno alle 10?»
Un silenzio di tomba ha accolto la mia richiesta e poi: «È uno scherzo, vero?»
Ecco in quel momento ho capito tre cose:
1. Che è il calendario non è un optional e magari guardarlo ogni tanto può evitare anche qualche figura da ravanello;
2. Il motivo per cui le rotonde dell’hinterland, solitamente lasciate in balia di putrescenti microrganismi assortiti, da qualche giorno pullulavano di petunie;
3. Perché i parcheggi dei campi santi erano diventati più gettonati di quelli degli Outlet nella stagione dei Saldi.
E ho riflettuto che forse presentare Viola in un tripudio di crisantemi non era proprio una gran botta di vita.
Il giornalista, che ha le idee più chiare delle mie, propone di incontrarci in centro, davanti alla Feltrinelli di Piazza C.L.N.
Decido che è meglio non proporre alternative e quindi taccio, acconsento e inizio a pregare.
Se il filmato farà schifo, alla peggio posso sempre distruggere il nastro, frantumare la videocamera o ingerire carni rosse lavorate fino a stramazzare al suolo.
Sabato mattina arriva puntuale ed io, per una volta, sono leggermente in anticipo.
Così resto per un po’ con il naso appiccicato alla doppia vetrina di Feltrinelli, sbavando letteralmente sui best-seller da milioni di copie, con tutta la sana e robusta invidia del caso.
Nello stesso istante, un micragnoso carlino dal ridicolo impermeabile – forse stremato per l’ardua ricerca di uno pneumatico in zona blu – sbava sui miei nuovissimi tronchetti, iniziando a considerarli una valida alternativa alle sue impellenze fisiologiche.
Mi sposto una frazione di secondo prima che accada il peggio.
Ma intanto sopraggiunge un nano vampiro, divoratore di focaccia, che indossa un cappellino appuntito, di due misure più largo della sua circonferenza cranica. Che ovviamente gli ricade sul naso a due passi dalla sottoscritta e il mostruoso moccioso non trova di meglio che avvinghiare le sue manine bisunte alla tasca del mio cappotto, per non finire di schianto con le chiappe sul marciapiede.
«Aristide, ma cosa fai?», lo rimbrotta mamma pipistrello sistemando il suo cerchietto e rialzando il copricapo sabotatore, «Ti sei fatto male?»
Più che altro si è fatto male il mio cappotto! rifletto osservando quell’impronta a cinque dita che ora esibisco all’altezza della milza, sulla preziosa sfumatura carta da zucchero.
«Lo scusi, eh. Buon Halloween!» gli fa eco papà pipistrello, avvolgendolo con il suo protettivo mantello nero. E tutta l’allegra famigliola si allontana svolazzando.
No, come sarebbe lo scusi? E il mio cappotto? Mostro!
Finisce così,senza nemmeno un CID?
Sto ancora meditando vendetta – anche perché io vampiri e affini proprio non li sopporto – quando il motore rombante di uno scooter mi avvisa che Marta e Samuele sono arrivati.
E purtroppo, con loro c’è anche un potente alieno a tre piedi, dotato di misteriosi poteri allunganti, conosciuto ai più con il nome volgare di telecamera, ma solo per copertura.
L’infernale aggeggio sta già zoomando pericolosamente verso di me.
E la mia prima domanda è: «Adesso dove caspita dovrò guardare?»
Guardo la telecamera e ignoro il mio intervistatore? Guardo il giornalista e ignoro la telecamera?
Guardo da entrambe le parti sperando nell’effetto magnetico e sensuale dello strabismo di venere?
Sto ancora cercando un orientamento – e anche un posto dove mettere le mani – distratta dal tipo con il carlino che osserva tutto ringalluzzito la scena, mentre il suo cane continua a spasimare per i miei stivaletti.
Marta si posiziona dietro la telecamera e dice: «Uno , due, tre, ciak!» come nei film.
Mi sorride per tranquillizzarmi e io le sorrido a mia volta guardandola, anche se gli altri non la vedono.
Samuele sistema il suo inseparabile giubbotto da aviatore, poi l’audio e parte con le domande.
E in un lampo io e Viola siamo su Primediecipagine.
Questo è il nostro primo YouTube…



giovedì 15 ottobre 2015

Io & Carolina




Ho sempre viaggiato principalmente sui mezzi pubblici, sopportando scossoni, pestoni, spintoni e zaffate, che a confronto la Parigi narrata da Süskind sembrava Pitti Fragranze.
Però la durata della pazienza deve essere inversamente proporzionale all’incedere degli anni perché, qualche settimana fa, esausta e barcollante dopo l’ennesimo viaggio infinito sul bus, ho deciso di motorizzarmi anche io.
Noi di auto ne abbiamo una sola e si chiama Carolina, che ha esattamente la stessa età della nostra primogenita quindicenne. E forse, per affinità elettiva tra coscritti in preda alle medesime turbolenze ormonali, mette in pratica lo stesso comportamento imprevedibile, anarchico e a tratti irriverente. In parole povere Carolina, orgogliosa di questi anni vissuti spericolatamente e indefessamente on the road, fa beatamente quello che le pare, quando le pare. Come nostra figlia appunto.
E così un bel mattino ha deciso che le chiavi di scorta probabilmente erano una roba di serie b che lei, alla sua veneranda età e dopo anni di egregio servizio ha scelto di ripudiare.
Senza troppi complimenti si è intestardita come un mulo e a noi è rimasta una sola chiave di accensione a lei gradita, che ci passiamo uno con l’altro, avvolta in panni candidi di lino purissimo, come una reliquia.
In un secondo momento ha mandato in tilt la chiusura centralizzata in un modo tutto suo: in pratica mi costringe a chiudere a chiave ognuna delle quattro porte e poi rifare il giro di controllo, un numero x di volte, con un’ansia patologica crescente, stile Avrò chiuso il gas?
La mazzata finale è arrivata in una notte buia e tempestosa, ma poi neanche tanto perché a pensarci bene era estate, quando dei bipedi dal cervello come un gheriglio di noce l’hanno profanata sventrandole i tergicristalli come una scatoletta di tonno Rio Mare.
Per aiutarla a superare il brutto momento abbiamo iniziato ad essere più carini con lei, ognuno a suo modo.
Io ho realizzato home-made un meraviglioso calzino da basket in spugna, tutto imbottito di sale grosso, con miracolosi poteri anticondensa.
La piccola Chiara ha abbandonato nel vano portaoggetti un plumcake spiaccicato probabilmente di era mesozoica e mio marito – non ho capito perché – ha piazzato un grosso sombrero sul pianale posteriore.
E dire che in Messico non ci siamo nemmeno mai stati, né noi né tantomeno Carolina.
In attesa di scoprire che mistero si cela dietro la comparsa del sombrero, io e lei cerchiamo di barcamenarci come possiamo, considerando la mia scarsa attitudine alla guida e i suoi acciacchi.
Che tradotto sta per: io non sono Hamilton e lei non è una Ferrari.
Vogliamo stare lontane dai grattacapi e dalle infrazioni e quindi ogni mattina trotterelliamo pacifiche, ligie agli attraversamenti pedonali, ai limiti di velocità, ai gialli lampeggianti e alle precedenze a destra.
In realtà la questione delle precedenze è delicata perché io soffro di disorientamento destra sinistra e certi incroci mi ricordano quei terrificanti quiz stracolmi di macchine rosse-gialle-verdi-blu con freccette schizofreniche girate in ogni direzione.
Per essere sicura di non combinare danni con la precedenza io e Carolina siamo piuttosto galanti e generose: la diamo a destra e anche un po’ a sinistra.
Quando siamo di buonumore ci mettiamo a canticchiare.
Quindi le nostre mattine in realtà potrebbero filare lisce come l’olio se non fosse che c’è sempre qualcuno che viene a romperci i paraurti.
Una strombazzata di clacson che ti toglie dieci anni di vita, solo perché hai osato fermarti invece di spiaccicare direttamente sull’asfalto stile Willy Coyote, il nonnetto zoppo con la shopper ecologica e il Jack Russell dal collarino rosso.
Un sorpasso a tradimento su doppia striscia continua con zampillo finale a iniezione diretta nel finestrino di monossido di carbonio, idrocarburi e ossidi di azoto perché hai rallentato al giallo. Così tanto, da purificare epidermide e polmoni in un botto solo. E cancellare in un colpo di spugna, la pelle di porcellana ottenuta con l’idratante di YSL pagato a rate.
Se poi ti prende il desiderio di tentare un’arguta manovra in un parcheggio che sia diverso dalla lisca di pesce, allora la situazione si fa davvero seria.
Anche perché non appena ingrani la retromarcia e cominci a indietreggiare, quello spazio che solo pochi istanti prima sembrava ampio e confortevole, diventa angusto e ristretto, stile golfino post centrifuga.
E allora sono attimi di panico vero. Perché sei lì con il sedere dell’auto a levante e il muso a ponente, gli occhi strabuzzati e il terrore di sfiorare la scintillante SLK metalizzata che avresti giurato che un attimo prima non ci fosse, e dannazione ora è proprio a pochi centimetri dal traballante parafanghi di Carolina.
O di frantumare il fanale stile cartoon della stronzissima Smart che sembra fissarti come a dire: «Vedi? Io mi parcheggio anche tra gli interstizi di una striscia pedonale» e quasi senti il suo sogghigno malefico.
E nel frattempo tutto intorno è un karaoke di clacson che impazzano, finestrini che si abbassano, dita che si alzano e mi fermo qui, perché siamo in fascia protetta.
Allora sia io che Carolina che di solito siamo per la non violenza, decidiamo di non agire: schiaccio il tasto delle sicure, chiudo gli occhi e mi preparo al peggio.
Che arriva con le sembianze di un paffuto autocarro giallo arancio dalla bambolina tirolese che dondola allo specchietto, aggancia la fiammante SLK e se la porta via.
Nel posto libero resta il vecchietto claudicante con il Jack Russell della mattina che mi strizza l’occhio e mi mostra un cartello, ed io capisco che siamo state miracolate da un divieto di sosta.
Ammutoliti dalla scena, anche gli animi incarogniti degli altri automobilisti si placano. Del resto hanno già sfogato la dose mattutina di ira quotidiana e possono riprendere il loro tranquillo tran tran: le donne si incipriano il naso con sguardi furtivi al retrovisore, i maschietti si sistemano la cravatta.
Qualche pensionato sbuffa perché il divertimento è finito troppo presto e non resta che tornare ad osservare gli interminabili lavori dei cantieri a cielo aperto nella metropoli.
Oppure di aspettare con trepidazione il prossimo giallo lampeggiante…





giovedì 8 ottobre 2015




Oggi alle 21.00 Viola va in Scenario e nell'incantevole cornice di questa splendida libreria-teatro insieme a Massimo Minuti, libraio e libro-terapeuta andremo alla scoperta delle emozioni e degli strati del romanzo ma anche delle interpretazioni dei lettori, ripercorrendo quel viaggio meraviglioso che porta l'idea di un autore fino al... comodino del suo lettore!
Daranno vita ai personaggi  Palma Della Rocca e Pier Mario Prandi.
Siamo ansiosi di conoscere il vostro parere e svelarvi qualche simpatico backstage ;)
Vi aspettiamo in Via Piazzi 7 bis a Torino :)

lunedì 10 agosto 2015

Tipe da spiaggia #3 - L'untuosa contorsionista


Tipe da spiaggia #3 - L'untuosa contorsionista


Anche lei, come (l'ex) nuda per caso, teme i batteri del bagnasciuga più delle rate della TARSU.
La riconoscerete perché possiede un intero kit di creme, sieri, stick a protezione totale e non appena prende posto sull'arenile inizia a sfoderare tutto l'armamentario.
Il punto è, e lei lo sa bene, che il sole colpisce a tradimento proprio laddove non te lo aspetti.
E allora prima di crogiolarsi sotto il solleone è necessario espletare a dovere il rituale della "spalmatura".
Si inizia con la posizione del fenicottero, in piedi sulla gamba sinistra, flette e distende la destra per essere certa di raggiungere anche talloni e alluci. Poi torce il collo dietro la schiena, nemmeno lo avesse snodabile, e con la mano destra, alacremente, si spalma generosamente la parte sinistra della schiena. E viceversa.
Piega il busto in avanti e fa roteare le mani tra l'interno cosce per essere certa di proteggere anche quelle parti dove, normalmente, non batte il sole.
Non contenta, estrae dalla sua fornitissima pochette, un olio viscido che distribuisce sulle sue folte chiome, che al tocco si trasformano come se avesse appena ricevuto delle affettuose leccate di cammello.
Infine arraffa lo stick per la protezione delle zone perioculari e inizia a disegnarsi tratti obliqui sul volto.
Decorata come una Zo'è del Sud America si avvia ponderata verso la riva.
E finalmente, tutta untuosa e soddisfatta, si tuffa in mare anche lei, diffondendo inquietanti chiazze galleggianti e oleose stile frittura di paranza appoggiata su uno scottex da discount.
Così, dopo aver dato il suo personale contributo di biossido di titanio, ossido di zinco, parabeni, trifosfato di pentasodio e affini, a danno dell'ecosistema marino, si dà una scrollatina e dopo qualche istante, poiché i bugiardini raccomandano di ripetere l'applicazione da capo, ricomincia con i suoi spalmamenti.

Se la vedete siate prudenti, e nuotate al largo da lei: se non volete restare invischiati nelle sue chiazze galleggianti. E tenete a portata di mano il numero di GreenPeace!

giovedì 6 agosto 2015

Tipe da spiaggia #2 - La nuda"per caso"


Tipe da spiaggia #2 - La Nuda per caso

Di solito si aggira per le spiagge avvolta in parei multistrato e grandi cappelli di paglia. Seguita da un infelice omuncolo portatore di costume a slip.
Osserva meticolosa l'ambiente circostante la playa e, quando si accorge dell'assenza di cabine destinate alla s-vestizione, è preda del panico.
Resta lì impalata e tenace, ghermita dai multistrati di stoffa indecisa sul da farsi.
Ma il sole è cocente, la sabbia rovente e il tempo tiranno, per cui, a meno di non tuffarsi tra le chiare e dolci acque con tutto il suo ambaradan tessile non ha alternativa: deve spogliarsi.
Si guarda intorno timorosa e, non appena vede sfilare sulla battigia due marmoree vichinghe in topless, che calamitano gli sguardi degli spiaggiaioli, marito compreso,  coglie l'attimo per disfarsi dell'ingombrante outfit da yeti. È allora che svela un osceno olimpionico parigamba dalla fantasia che ricorda tanto un girotondo allegro di spermatozoi ma che lei, ignara, ha comunque acquistato al volo perché i costumi moderni li reputa quantomeno oltraggiosi.
La casta spogliarellista si sa, le sue grazie le mostra soltanto al fedele consorte che, infischiandosene altamente delle sue manovre pudiche, sta fissando i ballonzolanti glutei delle turiste crucche che hanno deciso di sollazzarsi giocando a racchettoni.
Ignara del rischio che il suo matrimonio sta per correre, protegge le sue chiome con un ignobile cuffietta in lattice con margheritone tridimensionali e, in tutta fretta prende il largo, per evitare che qualche sguardo bramoso possa soffermarsi sulle sue carni, pressurizzate dal costumone vintage. Ovviamente il coniuge ne approfitta per socializzare con le turiste in monokini.
Dopo la nuotata rigeneratrice che le ha fatto dimenticare l'onta del primo spogliarello, deve però affrontare un'altra spinosa questione: il costume bagnato.
E nella sua testolina bigotta si dipana un amletico dubbio: rischiare la proliferazione di funghi e batteri nelle parti "innominabili" o tentare un'impresa ardua e rischiosa, come quella del cambio costume sulla pubblica playa?
Alla fine, poiché nella preservazione delle sue grazie rientra anche l'evitare accuratamente malattie trasmissibili che sicuramente proliferano in luoghi della pubblica perdizione come quelli, e di cui, ne è certa, le spilungone bionde che ora si stanno intrattenendo con il suo uomo sono sicuramente portatrici sane, non le resta alternativa che dare il via al secondo spogliarello di quella infame giornata.
Si arrotola in un telo mare come un kebab e poi inizia a dimenare le anche tentando di liberarsi del virulento indumento da mare. Si contorce, si divincola, si sbraccia, ma il costume le resta attaccato alla pelle come una tutina in lattice.
Tuffa la testa dentro l'asciugamano, afferra l'elastico e tira con tutta la forza che ha e il costume si arena, indisponente e testardo, in un punto imprecisato tra chiappe e cosce  e non ne vuole sapere di andare né su né giù.
Sfinita chiede aiuto al suo consorte che però non se la fila di striscio, tutto intento a scattarsi selfie con le sventolone dai capelli color miele.
Così, imprecando contro l'estate, le spiagge senza cabine, le crucche, e soprattutto per quello stronzo di suo marito, è costretta a fare da sé.
Nella foga della missione recupero costume, l'asciugamano le scivola e in un attimo si ritrova nuda per caso sulla pubblica playa, con le chiappe coperte a metà dal costume arrotolato, il seno prorompente e latteo e la cuffietta con i fiori in rilievo ancora in testa.
In quel preciso istante passano in contemporanea un inglese, un francese, un tedesco e un venditore di cocco napoletano, che posa il suo cestino di frutti esotici insabbiati e in un nanosecondo immortala e condivide le sue grazie su tutti i social.

Postilla: convertita e sedotta dal milione di like ottenuti, manda a cagare marito e senso del pudore e diventa fashion blogger e opinionista fissa a Temptation Island.

lunedì 3 agosto 2015

Tipe da spiaggia #1 - La spremitrice intrepida





#1 - La spremitrice intrepida

Facilissima da riconoscere: potete individuarla con le gambe solitamente in posizione yoga e le braccia avvinghiate sulla schiena del povero tapino seduto davanti a lei. Ma non fatevi ingannare, non si sta prodigando in effusioni estive bensì in qualcosa di molto diverso.
Forse in un'altra vita voleva fare l'estetista ma poi qualcosa è andato storto e siccome le grandi passioni non muoiono mai, il suo passatempo preferito, in barba a beachvolley e snorkeling è la spremitura di punti neri, foruncoletti e affini degli sventurati che le orbitano intorno.
Potete anche avvistarla gattonare irrequieta a carponi sullo stuoino di rafia intorno al malcapitato che, per dare tregua alla sua martoriata schiena si è disteso supino e, sfinito e dolorante, è sprofondato in una pennichella. Lei invece, non dorme mai e anzi, approfitta del torpore delle sue vittime potenziali per studiarle più da vicino. E infatti ora il suo volto è a due centimetri dal naso del malcapitato dormiente, alla ricerca di comedoni come porcini in Val Vigezzo.
Dotata di pinzetta e kleenex, è pronta a colpire tutti indiscriminatamente. Indipendentemente da età, sesso, squadra del cuore o ideali politici
Vuoi che non ci sia un peletto impertinente che abbia deciso di spuntare all'improvviso dove non deve?
Un puntino nero da detonare?
Un brufoletto da torchiare come una biancolilla di Siracusa?

Se l'avvistate statele alla larga. Sopratutto se avete un bulbo pilifero fertile, con picchi di ricrescita o, peggio ancora, figlioli adolescenti che potrebbe avviluppare con le sue unghie laccate e restituirvi arrossati e scoppiettati come rotoli di pluriball dopo l'uso.

(continua...)

martedì 30 giugno 2015

Un'opportunità per aspiranti scrittori: torna il concorso "Ilmioesordio"

La prima volta in cui  Viola è uscita dal cassetto e si è fatta leggere è stato esattamente due anni fa in occasione del concorso ilmioesordio.
Sono stati mesi al cardiopalma in cui, tra commenti e selezioni, mi sembrava di viaggiare sulle montagne russe.
Una bella palestra per mettersi in gioco, diffondere sul web il proprio manoscritto e raccogliere i commenti spontanei dei lettori. E magari sperare anche di essere notati da un editore o un talent scout.
Quest'anno la giuria è composta da un comitato di lettura della Scuola Holden. Partner editoriale d’eccellenza è Newton Compton
A me ha portato fortuna ma anche delle nuove amiche con cui condividere idee, blog, progetti nuovi e ...affanni quotidiani :)
Se vi va di saperne di più potete curiosare regolamento e novità del concorso.
Occhio che, come i formaggi freschi, ha una data di scadenza piuttosto breve: 31 agosto 2015. 
E adesso un piccolo salto indietro nel tempo per raccontarvi come è andata allora...







Luglio 2013.

Okay ci siamo. Ce la posso fare.
Adesso carico il file e finalmente il mio manoscritto sarà pronto ad uscire dal cassetto.
Il piccolo pallino azzurro gira e rigira sul mio monitor invitandomi a pazientare e io mi domando se sto facendo la cosa giusta. Viola sta per partecipare al suo primo concorso, sta per “mostrarsi” a migliaia di occhi sconosciuti. Che saranno liberi di commentarla, leggiucchiarla o ignorarla. 
Sono mesi che mi preparo a questo debutto virtuale: taglio, aggiungo, limo, rimodello .
Tormento all’infinito questo povero manoscritto.
La scadenza di questo concorso è stata lo stimolo per arrivare alla fine sul serio. Per mettere quel punto che però segna l’inizio di una nuova avventura.
Ma io sono pronta? 
No, forse non lo sono, ma intanto il circoletto azzurro non lampeggia più.  E’ troppo tardi per i ripensamenti: Viola, vertigini e vaniglia è on line. La copertina rosa, il rametto floreale e la Mole mi osservano dallo schermo, sotto il logo del concorso. Sono ufficialmente iscritta alla sezione narrativa.  E già sento le vertigini e una gran fifa.

Luglio 2015. Due anni dopo.
Sono passati due anni e sono successe un sacco di cose ma le emozioni legate al concorso sono più vivide che mai. Il giorno dopo la partecipazione, via whatsapp, le mie amiche mi dicevano che Viola aveva già avuto 45 lettori. Io nel frattempo ero in Sardegna che mi dannavo per cercare una connessione e vedere come andavano le cose.  Mi spalmavo la protezione cinquanta, tagliavo a cubetti i pomodori per le friselle, costruivo tartarughe di sabbia ma la mia testa era sempre  lì, al concorso.
E qualche giorno dopo mi trovo un bel top 200Possibile? Penso.
Non ci credo, non capisco, scrivo ad altri partecipanti, al servizio clienti (di cui sono diventata il peggiore incubo). Poi l’estate svanisce e si porta via anche il mio top 200 in attesa della semifinale.
Ne rimarranno solo cento penso sentendomi come Christopher Lambert in Higlander. 
E il mio entusiasmo si affloscia, l’attesa è sempre più snervante.
Anche perché io non voglio combattere. Voglio solo scrivere. E magari farmi leggere…
A tirarmi su ci sono altre partecipanti con cui è nato un bel sostegno reciproco: Arianna Berna e Loriana Lucciarini. Hanno letto Viola, commentandola positivamente, ci siamo scritte e ora siamo molto più che amiche di “mail”.
Finalmente arriva il giorno del verdetto, controllo il sito circa sessanta volte al minuto. Per evitare di impazzire me ne vado con mia figlia ai giardinetti. Ho ancora il cono gocciolante tra le mani quando rientro e con le dita appiccate di fiordilatte accendo il pc.
Ma sì, un’occhiatina prima di mettere su l’acqua per la pasta ci sta. La connessione è stranamente veloce e subito atterra sul sito del mio esordio.
La schermata è diversa, i battiti galoppano. La lista è stata pubblicata.
Il cuore si ferma.  I titoli sono in ordine alfabetico. Ora o mai più penso. E mi sembra di vedere Viola su un precipizio pronta a saltare. Completamente in apnea scorro la lista fino in fondo.
E poi lo vedo. Lo leggo. E' lì. C’è. Viola, vertigini e vaniglia, il mio romanzo è in semifinale.  
E di nuovo sento le vertigini e il solletico della felicità.

 Postilla: Ma continuavo, imperterrita, a fare casini e ad essere l'incubo del servizio clienti ;)
come dimostra questo post "storico" di ottobre 2013 dialogo tra una scrittrice esordiente e la piattaforma del servizio clienti

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