domenica 24 gennaio 2016

Stappa un crodino!



Con una certa ansia riprendo a guardare i bambini che, tutti ec­citati, non vedono l’ora di far sapere la loro opinione.
Mi piacerebbe poter fare altrettanto.
Anche perché non trovo affatto giusto che il mio destino e quel­lo del tacchino siano nelle mani di Deborah, cinque anni e mezzo, futura promessa del pattinaggio artistico, che preferisce le Winx alle Witch o Jacopo, sei anni e mezzo, che impazzisce per il budino con le macchie e non si perde una puntata di Scooby Doo.
Per non parlare del bulletto Mattias che, piercing al lobo sinistro e taglio alla El Shaarawy, continua a smanettare sulla Nintendo infi­schiandosene degli altri.
Vorrei tanto che Emma fosse qui con me!
Mentre Mikaela sgranocchia salatini in assoluto relax io sono sempre più irrequieta.
Più i bambini parlano, più la lancetta avanza, più il mio stomaco si chiude a riccio.
Poldino è stato vivisezionato in parti come l’ultimo dei tacchini al banco macelleria.
Il piccolo Jacopo ha dichiarato, senza esitazione alcuna, che non leggerebbe mai le storie di un tacchino con l’aria da sfigato. La dol­ce Deborah ha sentenziato che, se nella storia non c’è almeno una saccagnata di botte con svolazzata nei cieli e scambio di superpote­ri, lei non è interessata. L’intrepido Mattias ha detto che, se magari facciamo un paio di tattoo a Poldino e poi lo accoppiamo a una bella pollastra con la quinta di petto, forse, potrebbe anche chiedere alla mamma di compragli un paio di volumetti.
«La quinta di petto? Ma di chi sono figli questi?» esclamo saltan­do dalla sedia.
Ho sentito abbastanza. È ora di prendere in mano la situazione.
Sconvolta abbandono temporaneamente l’infernale Sala degli Specchi. Devo parlare con Tancredi.
Subito.
E capire che sta succedendo.
Nei corridoi incrocio Fassani intento a corteggiare la nuova recep­tionist con aforismi degni dei tweet di un tronista. Lo supero e senza bussare entro come un’infuriata cariatide nell’ufficio di Tancredi.
«Quei piccoli mostri stanno distruggendo tutto il mio lavoro!»
Lui solleva lo sguardo dal pc, sposta velocemente una tavola da disegno e mi guarda come un’aliena piombata di colpo accanto alla sua scrivania.
«Viola? Ma cosa stai dicendo?»
«I focus!» spiego allarmata. «Stanno andando malissimo! I bam­bini dicono cose improponibili e il tacchino gli fa schifo! Per favore, vieni a vedere…» lo supplico.
Poi sento una voce provenire dallo schermo. «Tancredi, ça va bien? Qui est là?»
E immediatamente identifico la suadente dizione della Fata Francese dai lunghi capelli corvini.
«Senti Viola, ora proprio non posso. Ho una cosa urgente di cui occuparmi» mi liquida senza tanti complimenti.
Resto immobile e zitta.
All’improvviso mi sento fuori luogo come un granello di sale grosso finito nella sfoglia di un croissant.
Imbarazzata farfuglio una scusa e, con le idee più confuse che mai, rientro nella Sala degli Specchi.
Mikaela è intenta a prendere appunti sul suo tablet.
«Qualche novità?» domando speranzosa.
Scuote il capo e digita in grassetto. «Il progetto Poldino non supera il field-test.»
«Ma non si può fare un’altra prova?» chiedo con un nodo alla gola.

Lei assume un’espressione di chi la sa lunga. «Direi di no. Il reclutamento è stato affidato a un’agenzia rigorosa. Non ripetiamo mai, se è tutto regolare» poi posa il tablet, apre il frigobar e si stappa allegramente un crodino.
 (...)
Estratto da Viola, vertigini e vaniglia - Monica Coppola -  Booksalad 

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