venerdì 30 dicembre 2016

Mutande rosse, kakapo neozelandesi e buoni propositi.



Ci siamo ormai.
L'ultima notte dell'anno sta per arrivare.
E mentre saremo alla ricerca delle imprescindibili mutande rosse da nascondere sotto gli abiti in tulle da meringa dark arriveranno loro.
Inesorabili, come la pioggia di pasquetta o il bollino nero delle partenze intelligenti.
Come la tombola che ancora sognate zia Teresa con gli occhi semichiusi a capocchia di spillo che scatena una diatriba familiare cercando di capire se quello che ha pescato è un sessantotto o un ottantanove.
Perché certe cose non cambiano mai. Si ripresentano puntuali.
Come quegli stramaledetti messaggi in serie, completamente spersonalizzata, che vi intaseranno la memoria dello smartphone dalle 22 in poi. E, a dirla tutta, metà dei mittenti da cui arrivano nemmeno vi ricordate chi sono.
In mezzo ai video divora byte e a tutte le altre menate arriveranno anche loro: i BUONI PROPOSITI.
Quelle rassicuranti favole bugiarde che ci raccontiamo, con la speranza remota che il cambiamento dell'ultima unità di migliaia dell'anno possa, come per magia, trasformare la nostra intera esistenza.
Che se si facesse un exit poll pre -veglione alla domanda "Come è stato il suo 2016?"  con le possibilità
a) soddisfacente, b) parzialmente soddisfacente, c) superiore ad ogni aspettativa o  d) veramente di merda, l'opzione d darebbe grandi soddisfazioni senza alcun rischio di ballottaggio.
Che quest'anno ne abbiamo già avuti troppi.
E quindi è sicuro, anche solo per il calcolo delle probabilità: l'anno che verrà sarà ricco di premi e cotillon.
Che noi ci meriteremo perché faremo krav maga (i giorni pari) e kundalini joga (quelli dispari).
Leggeremo Proust, metteremo al bando i grassi saturi e raccoglieremo fondi a beneficio dei Kakapo neozelandesi. E se il coraggio non ci abbandona magari sarà anche l'anno giusto per la depilazione brasiliana. Forse...
Ma ceretta o meno la lieta novella dei  BUONI PROPOSITI tanto sarà lì ad aspettarci, anche il prossimo capodanno. A farci fare i conti con quello che puntualmente non abbiamo fatto.
Ma adesso non ci vogliamo pensare.
Perché a San Silvestro tutti abbiamo voglia di cucire qualche paillettes sopra i nostri sogni, magari bicolori, per farli brillare un po' di più.
Ci prende quasi una smania e allora vogliamo, anzi, dobbiamo essere più sfavillanti, affascinanti, danzanti, frizzanti.
E così con brandendo calici di spumante annacquato intorpidiamo il nostro intelletto, che nelle altre 364 notti assolve più o meno degnamente il suo compito.
Ma il 31 dicembre qualcosa va in corto circuito ed ecco che proprio noi, che da sempre consideriamo i tre euro di un tramezzino un furto legalizzato, sborsiamo felici e contenti due zeri in più per un cappellino di carta, una trombetta e una fetta di panettone dell'anno prima.
Purché sia festa.
Vuoi mettere? Ci sarà l'orchestra! Si farà il trenino!
Che il trenino e le lenticchie a mezzanotte dovrebbero essere banditi per legge, ecco.
Perché se la prima istantanea dell'anno nuovo ha le sembianze di una fiumana assortita agghindata a festa come al Carnevale di Rio, c'è davvero bisogno di pensare che tutti i giorni che verranno saranno sicuramente migliori.
E ricchi sì, certamente più ricchi.
Ed è a questa speranza che ci appigliamo, trangugiando lenticchie a cucchiaiate come se non ci fosse un domani, anche se abbiamo le acciughe al verde che sguazzano nell'esofago, redivive come in un miracolo biblico di fine anno, mentre la brasiliana color porpora comprata last minute vi incendia pericolosamente il solco fra le chiappe. Le stesse che tutti gli altri stanno dimenando sulle note evergreen del Ballo di Simone.
Mentre la Banda del Capodanno Festoso sgambetta e solleva le ascelle pezzate al ritmo di "Batti in aria le mani, e poi falle girar" a voi girano sole le scatole.
E la domanda sorge spontanea: «Ma che ci faccio qui?»
Improvvisamente avete solo voglia di silenzio.
Vi manca il pigiamone e anche i calzettoni di lana.
Vi mancano i tortellini in brodo, ma quello di pollo, che la nonna faceva bollire ore, a  partire dall'alba, così tanto che l'odore del pollo si mescolava a quello del caffellatte ma andava bene lo stesso.
Era il profumo di casa, di vita. Vera.
E pensando a quel  ribollire, autentico, viene voglia di mandare a stendere tutti quei buoni propositi che attanagliano la testa.
Uno però no. Uno vi sta simpatico. È nuovo, ci ha messo un po' ad arrivare ma adesso lo adotterete per la vita.
Questo nuovo proposito è: sii te stesso e fai ciò che vuoi.
E se qualcuno non va bene, beh lasciatelo sui vagoni di quel trenino che non va da nessuna parte.
Voi partite da sole. Spogliatevi del vestito da meringa, delle scarpette da finta Cenerentola e lasciate il Ballo e se necessario anche il principe. Perché tanto, dove volete andare, lo sapete già.
E non è certo su un vagone di una locomotiva che scintilla per una sola notte all'anno.

Happy New Year!

(copyright Monica Coppola – editing Stefania Crepaldi – grafica Maria Teresa Di Mise)

domenica 11 dicembre 2016

Non sbucciate quel mandarino ( e state alla larga dalla tombola)



Ho con il Natale un rapporto particolare. Qualcosa di molto simile a quelle relazioni adolescenziali che ti si appiccicano addosso tipo chewing gum sotto il banco, in perenne oscillazione tra il dobbiamo parlare e il confettoso mantra l’amore vince su tutto.
Una sorta di odio/amore da teenagers, per cui un giorno sciogli in lacrime e fazzoletti scottex tre tubetti di mascara; e quello dopo sei sciolta tu, labbra e lip gloss incollate a quello che, ora ne sei certa, è sicuramente l’amore della tua vita.
Almeno per le prossime 48 ore…
Il cuore un giorno su e l’altro giù, in un elettrocardiogramma senza pace.
Come il mio umore dall’Avvento in poi.
Penso ai regali. E mi esalto.
Penso ai regali. E annaspo.
Penso al pandoro. E sorrido.
Penso alle calorie del pandoro. E vado in panico, la coscienza sporca come le labbra di zucchero a velo. Ma comunque la fetta – centrale grazie e mai la prima che viene sempre striminzita – non la mollo.
Insomma non se ne esce. O se ne esce a fatica e un po’ acciaccati, come dai primi amori.
Quando ero 
piccola a casa mia subito dopo l’otto dicembre iniziava un viavai frenetico di Panettoni & Pandori e però niente, non ne potevi assaggiare nemmeno uno. Perché si doveva aspettare. L’effetto devastante di questi due divieti era che, passate le Feste ti ritrovavi a inzuppare nel latte quelle fette, ormai mummificate, fino alla Pasqua successiva. Perché non si buttava via niente.
E anche se ti innamoravi di un ragazzo e ci volevi fare delle robe dovevi aspettare.
Il candore, come i canditi, aveva i suoi tempi. E toccava mettersi l’anima in pace. In pieno spirito natalizio.
Per cui 
l’albero si faceva l’otto dicembre, non si baciava mai al primo appuntamento, e comunque pure se eri al terzo o al quarto, era bene tu lo facessi in panchine non visibili all’orizzonte del capofamiglia. Se no le feste ti aspettavano direttamente a casa. Al rientro.
Nonostante questo, 
tutto sembrava magico: anche un foglietto di stagnola per fare il laghetto.
Pure il suonatore di 
zampogna che aveva il ventre dilatato come se si fosse scolato due pinte di birra prima di partire alla volta di Betlemme. Che fosse colpa di una svista di Gaspare?

continua sul   Diario di Adamo

illustrazione di Alice Basso, editing Stefania Crepaldi

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La realizzazione grafica si deve a Maria Teresa Di Mise.
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L'editing è curato da Stefania Crepaldi che trovate al sito
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